Ogni volta che abbiamo un’opinione, è importante interrogarsi su come siamo giunti a quella conclusione. Nell’attuale “era digitale”, le opinioni di molti di noi non possono più prescindere dalla interazione con piattaforme mediatiche in cui un gran numero di individui interagisce costantemente. Le moderne piattaforme, infatti, non sono più semplici luoghi virtuali di socializzazione e connessione, ma sono diventate contesti dove l’informazione e le opinioni trovano spazio e diffusione. Senza cadere in affermazioni deterministiche o catastrofiche, si può legittimamente sostenere che questa costante accessibilità a una vasta gamma di dichiarazioni (dall’alto e non) influenzi le nostre opinioni personali e di conseguenza anche l’opinione pubblica.
Tuttavia, temi come il tradimento rimangono tabu anche in rete e sulle piattaforme e, pertanto, non ricevono altrettanta attenzione e diffusione di esperienze e opinioni. Nelle poche occasioni in cui un tradimento viene riportato su un giornale o sui media, che sia coinvolta una coppia “famosa” o meno, esso viene presentato come uno scandalo. Lo scandalo è utilissimo ai media – perché richiama audience – ma porta inevitabilmente alla polarizzazione delle due persone coinvolte nel tradimento: da un lato, la vittima, che rimane con un marchio indelebile (“delle corna”), dall’altro il carnefice, che è immediatamente percepito come la parte che ha distrutto il legame. La realtà, tuttavia, è molto più complessa e richiederebbe un’analisi più attenta delle variabili in gioco.
Con questo terzo articolo di approfondimento sul tema del tradimento, vogliamo esplorare le modalità di rappresentazione dei media rispetto a temi controversi e le reazioni che tali modalità possono suscitare nell’opinione pubblica e nel linguaggio utilizzato. Per farlo, abbiamo affrontato la questione con la docente Roberta Bartoletti, esperta in sociologia della cultura e del web. In seguito, abbiamo chiesto ai due esperti intervistati in precedenza – lo psicologo Mezzanotte e la scrittrice Pulpo – se i casi mediatici contribuiscano a plasmare la concezione individuale e collettiva del tradimento.
Alla professoressa Bartoletti abbiamo domandato in che modo i social possono influenzare o modellare l’opinione pubblica. La docente ci ha risposto che i social media sono ambienti costruiti con logiche che sicuramente hanno un’influenza nel modo in cui il discorso pubblico si sviluppa: non necessariamente nei contenuti, ma sicuramente nella forma. Tuttavia, l’esperta ritiene che non dobbiamo considerare questa influenza in maniera troppo deterministica o automatica: “La rete Internet non è un ambiente impermeabile, autonomo rispetto al discorso pubblico generale. Sulle piattaforme, trovano casa e si riverberano i punti di vista mainstream che sono presenti nella società offline. È come se fossero degli specchi rafforzatori di ciò che accade al di fuori.”
Per quanto riguarda il tema della polarizzazione nei media, la docente sostiene che ormai c’è un grande dibattito nella letteratura scientifica sul tema. “È vero che i social media favoriscono l’acuirsi di una polarizzazione a causa dell’assetto che spesso hanno gli attuali ecosistemi mediali: basti pensare che in alcune piattaforme esiste un numero massimo di caratteri di scrittura e questo non favorisce lo spazio argomentativo. La degradazione del dialogo trova molto spazio sulle piattaforme: più la notizia è polarizzante, più è adeguata alla piattaforma e a un riscontro dagli utenti.” Al contrario però, non bisogna pensare che i media siano in grado di creare di per sé un nuovo linguaggio. “Essendo le piattaforme un contesto abitato dalla popolazione, sono gli stessi utenti che ricalcano, e spesso amplificano, il linguaggio che usano all’esterno.” Bartoletti però vuole porre l’attenzione sull’esistenza di un cambiamento nella forma della comunicazione perché i social costringono l’utente a trovare soluzioni per dire molte cose in un formato breve o addirittura ad evocare o categorizzare con gli hashtag.
Allo psicologo Mezzanotte e alla scrittrice Pulpo abbiamo invece domandato in che modo la rappresentazione in web del tradimento, soprattutto dei casi mediatici, plasmi la concezione individuale che gli individui hanno sul tema stesso. Secondo Mezzanotte, le notizie sono sempre polarizzate perché, per funzionare, devono sempre creare una frattura. Senza questo bipolarismo forte per attirare l’attenzione, i giornali non sono in grado di vendere, le notizie non vengono cliccate. La scrittrice Pulpo, alla stessa domanda, risponde così:
“Penso che la quasi totalità di ciò che viene prodotto dall’industria mediatica contemporanea sia costruita per incontrare il favore del pubblico e confermarne i bias. Sono rare le proposte culturali che indagano narrazioni alternative, che sollevano domande, che pongono in discussione i costrutti sociali dominanti e, quando lo fanno, attecchiscono tendenzialmente nelle nicchie di opinione (ma se ti rivolgi al grande pubblico, offri ciò che il grande pubblico desidera, che quasi sempre è appagare un bisogno basico senza alcuno sforzo). La concezione personale che abbiamo sul tradimento è molto radicata in un’architettura di valori e aspettative che abbiamo introiettato nelle fasi più delicate della nostra formazione sessuo-affettiva (nell’infanzia, dai modelli cui siamo stati esposti; nell’adolescenza, dall’enciclopedia di film, libri, canzoni e telefilm di cui abbiamo usufruito; negli anni della prima giovinezza, dalle esperienze vissute). Di certo, il fatto che il dibattito pubblico su questo tema continui a ricalcarne i tratti senza osare letture differenti, o analisi più complesse, non aiuta a sviluppare una consapevolezza più sostenibile del fenomeno, né a delinearne un profilo più compatibile con la natura della società e del tempo in cui viviamo.”
L’analisi degli esperti sembra trovar conferma in una recente ricerca pubblicata su Nature, che ha analizzato i motivi che portano le persone a partecipare a conversazioni ricche di hate speech. Le motivazioni principali sono la presenza di uno schermo che separa un diretto coinvolgimento, la tendenza a rimanere nel ventaglio del web che sostiene le proprie ideologie (detta “Echo chamber”), la riduzione del focus o interessamento della discussione e, per eccellenza, gli argomenti controversi. Il tema del tradimento, come abbiamo potuto constatare in queste tre interviste, rientra benissimo nella definizione di argomento controverso e le stesse conseguenze che causa lo confermano.
Emerge quindi che la rappresentazione del tradimento è associata – quasi inevitabilmente – all’hate speech per due motivi. Il primo motivo è l’innata propensione degli individui a categorizzare in vittima e carnefice che porta ad una polarizzazione degli atteggiamenti. Il secondo è la modalità di funzionamento dei media, e soprattutto social media, che sfrutta e incentiva la semplificazione enfatizzando il meccanismo della polarizzazione.
Se questo è il risultato, questi elementi creano almeno quattro vittime. In primis, i tre attori coinvolti nel tradimento, ovvero i due partner e l’amante. C’è però una quarta vittima, ovvero la stessa riflessione sull’argomento del tradimento: diventa impossibile trovare contesti e modalità di rappresentazione che consentano una valutazione distaccata del caso specifico, che tenga conto delle mille sfumature e variabili che caratterizzano ogni vissuto. Più in generale, sembra poco probabile che discussioni Onlife (per citare un neologismo del filosofo Luciano Floridi) sul tema riusciranno a far evolvere la percezione del tradimento alla luce dei profondi cambiamenti sociali e culturali che stanno trasformando le dinamiche di coppia.
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